“È tutta colpa mia”.
“Ma John, tu hai fatto il possibile per salvarli”.
Questo scambio di battute l’avete già sentito da qualche parte; forse in un film d’azione venato di epica hollywoodiana o retorica patriottarda. In narrazioni di tal genere John è un personaggio quasi necessario: l’eroe divorato dal senso di colpa e in cerca di riscatto. Nella mente di John risuona l’eco di una situazione in cui avrebbe potuto fare di più, e questo ricordo lo spinge a combattere con rinnovata determinazione. Questa volta, potete scommetterci, ce la farà: salverà le persone in pericolo, preferibilmente l’intero genere umano, con qualche azione eclatante degna delle battute iperboliche sulle gesta di Chuck Norris.
Ecco alcuni sensi di colpa per i vostri eroi, cari scrittori. Fatene buon uso.
Wendy, la moglie di Jeff, è stata uccisa da un balordo e lui non era lì in quel momento. Non c’era perché Wendy si trovava a casa del balordo, suo amante segreto da 15 anni. Ma poco importa: Jeff si sente in colpa.
Sua nonna è stata uccisa da un serial killer gerontofilo e lui non ha potuto fare niente. In quel momento stava soccorrendo un’amica della donna colpita da ictus. Ma Will è pieno di rimorsi: non riesce a perdonarsi un suo antico difetto: “Sono un inetto – si ripete senza posa – non possiedo neppure il dono dell’ubiquità”.
James si trovava nell’auto finita contro un palo della luce. Alla guida c’era Clifford, il suo migliore amico, morto sul colpo. “Non ho fatto il possibile”, pensa James. “Nei due secondi intercorsi tra l’uscita di strada dell’auto e il tragico impatto avrei potuto slacciare la cintura di Clifford, scaraventarlo fuori, prendere il suo posto alla guida ed evitare l’albero”.